La Notte e io


Questo dannato trascinare passi,
che non prelude al sonno,
distilla come succo dal mio cranio
consecutivi vertici d’assenza.

E’ frastuono, comunque,
è danza di pensieri e di fantasmi.
Quanto vorrei il silenzio, finalmente!
Invece rimpiango, ricordo e ripenso
alla corolla aperta d’un giacinto,
e pure a un crisantemo pazzo
sbocciato vecchio prima di novembre,
all’osceno dischiudersi in offerta
d’una rosa vermiglia alle narici.

Vorrei riuscire a scorgere la quiete
ma l’urlo delle sedie mi sovrasta
m’incenerisce il gracidar dell’aria:
il racconto bugiardo di quest’alba
ch’ha recitato il rantolo notturno
sconquassa le mie tempie.

Altrove di sicuro c’è chi pensa
a fronteggiare il demone del giorno.

I miti si disgregano e lo scatto d’un giudice
spinge la trave che gli colma un occhio
contro la vista mia per annebbiarla.

Non accetterò oggi – non è da uomini –
che il tramestio di passi sul tappeto
ed il cader di tegole sconnesse
mi sottraggano giudizio.

Perciò – se il sole sbircia è già mattina –
fermatevi e smettete:
cercar pagliuzze nello sguardo altrui
è fatica sprecata per un branco i ciechi.

Benito Ciarlo

Serravalle Scrivia 12 settembre 1972

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